Questo progetto si inserisce in quella che viene chiamata “emancipatory linguistics” o “anticipatory pragmatics” – la disciplina che tenta di costruire teorie comunicative che possano servire da base all’azione politica e alla promozione di cambiamenti sociali. L’obiettivo del progetto è quello di sviluppare le teorie pragmatiche in una direzione inedita per mostrarne la rilevanza in diversi domini (epistemologia, etica, filosofia politica, diritto, gender studies). Più in particolare si fa un uso innovativo degli strumenti speculativi della teoria degli atti linguistici (a partire dal lavoro di Austin e Searle) a scopi applicativi, per contestualizzare la riflessione teorica e farla interagire con dinamiche non solo cognitive ma anche sociali, etiche e politiche. I temi affrontati all’interno di questo progetto sono al momento due.
Epiteti denigratori e hate speech
Negli ultimi anni linguisti, filosofi del linguaggio e filosofi morali hanno rivolto la loro attenzione a una classe di espressioni linguistiche di particolare interesse, gli epiteti denigratori (in inglese slurs) – espressioni come “negro”, “frocio”, “terrone”, “puttana” – considerati offensivi in quanto comunicano disprezzo, odio o derisione verso individui e categorie di individui in virtù della sola appartenenza a quella categoria. I gruppi target vengono identificati di volta in volta sulla base di etnia, nazionalità, religione, genere, preferenza sessuale. Si tratta di termini che hanno una notevole valenza emotiva di carattere negativo, tale da escluderli quasi dal dominio del “dicibile”, per usare le parole di Jennifer Hornsby. La riflessione su questa classe di espressioni permette di gettare una luce inedita non solo sulla nostra concezione di significato e sulla distinzione fra semantica e pragmatica – ma anche sulla dimensione etica presente nel linguaggio, e sul dibattito intorno a hate speech, censura e libertà d’espressione.
Pornografia, censura e libertà d’espressione
La filosofia del linguaggio femminista riflette da tempo sulla presunta neutralità del linguaggio, cui oppone la tesi secondo cui il linguaggio codifica in realtà una visione maschile del mondo: il linguaggio, in quanto espressione della concezione maschile della realtà, renderebbe difficile o impossibile articolare immagini alternative del mondo. La tesi è una variante dell’ipotesi Sapir/Whorf sul determinismo linguistico: la nostra immagine del mondo sarebbe determinata dalle strutture del linguaggio che parliamo; i nostri pensieri sarebbero condizionati dalle categorie rese disponibili dalla nostra lingua. Affermazioni di questo tipo, specie nelle loro formulazioni più radicali, sono state criticate in modo convincente. Esiste però particolare versione di quella tesi estrema, che consideriamo invece interessante e meritevole di approfondimento: si tratta dell’argomento contro la pornografia formulato da Catherine MacKinnon, secondo la quale la pornografia riduce al silenzio (“silences”) le donne. La tesi di MacKinnon ha suscitato un dibattito acceso all’interno di diversi campi disciplinari, che vanno dalle scienze sociali al diritto, dall’etica alla filosofia del linguaggio. In filosofia del linguaggio il dibattito si è sviluppato seguendo l’interpretazione fornita da Jennifer Hornsby e Rae Langton in una serie di articoli degli anni ’90. Le due autrici argomentano in favore di MacKinnon a partire dalla teoria degli atti linguistici di Austin: la pornografia riduce al silenzio le donne perché riduce la loro libertà di espressione – non nel senso che impedisce loro di compiere atti locutori (non impedisce alle donne di esprimersi nel senso di proferire enunciati), ma perché toglie a certi enunciati prodotti dalle donne la loro forza illocutoria. In particolare, la pornografia creerebbe un clima comunicativo tale da rendere impossibile alle donne il compimento dell’atto illocutorio di rifiutare avances sessuali da parte degli uomini, configurandosi di fatto come incitamento alla violenza sessuale.
Pubblicazioni: