Da qualche tempo il premio in memoria di Alfred Nobel viene diviso ad anni alterni fra la micro e la macro economia. Quest’anno toccava a un micro-economista, e la scelta di Lloyd Shapley e Alvin Roth pesca senz’altro nell’élite della disciplina. La decisione tuttavia sembra appropriata anche per altri motivi. L’economia ultimamente non gode di buona stampa. Secondo l’opinione pubblica, non pochi politici, e anche alcuni economisti (Krugman su tutti), le cattive teorie della “triste scienza” sarebbero una delle cause della profonda crisi nella quale è precipitato il mondo occidentale. Gli economisti sarebbero colpevoli di utilizzare modelli semplicistici, irrealistici e imbevuti di ideologia; inadeguati alla comprensione di un mondo complesso popolato di esseri umani refrattari a rientrare negli schemi della teoria. Se il mondo fosse popolato di agenti razionali perfettamente informati, non si verificherebbero bolle speculative; le banche non fallirebbero; le sacche di disoccupazione non durerebbero anni. Ma queste cose, si sa, succedono: lo scarto fra teoria e realtà appare oggi più ampio che mai. Scegliendo Shapley e, soprattutto, Roth ci pare che il comitato abbia voluto dare un messaggio positivo: la scienza economica può contribuire fattivamente al miglioramento delle società in cui viviamo.
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