Che fine ha fatto l’io? Un’investigazione, tra scienza e filosofia, appassionante come un giallo di Agatha Christie. Chi è il colpevole? Forse una pigrizia mentale che ci spinge a non discutere i paradigmi della nostra vita quotidiana. Forse una cultura ingessata su concetti filosofici e psicoanalitici divenuti dogmi. L’io, disegnato nei secoli – da Cartesio, con il suo cogito ergo sum, fino a Freud – oggi è scontato al punto che nel nostro immaginario non c’è scampo al farvi ricorso: che si tratti di film, soap opera, telegiornali o chiacchiere da bar, il nostro agire viene giustificato in base a impulsi di un’entità – l’io, appunto – storicizzata, spiegabile attraverso accadimenti affettivi. Ma siamo sicuri che “io” voglia dire la stessa cosa anche solo da un giorno all’altro? Come ricostruiamo ciò che ci permette di avere un’identità, di essere riconoscibili ai nostri stessi occhi, di spiegare i nostri comportamenti, di assumerci responsabilità e, in sostanza, di dire “io”? In questo libro, un filosofo della mente e un biologo si incontrano e si scontrano, senza pregiudizi né timori, su un nodo concettuale ineludibile, da che le neuroscienze hanno mostrato come sia problematico individuare una sede e perfino un nucleo funzionale a questa entità misteriosa, nella speranza, se non di venire a capo dell’enigma, almeno di gettarvi un po’ di luce.