Linguaggio e cognizione sociale

_network_simple_org9Ogni scambio comunicativo ha luogo in un contesto sociale: ne segue che l’interpretazione di una qualunque mossa comunicativa dipende non solo dalla decodifica di un segnale (frase o gesto) ma anche dall’interazione fra decodifica e abilità sociali. Secondo una delle assunzioni centrali della Pragmatica, per cogliere il significato completo di un enunciato è necessario andare al di là del codice linguistico e interpretare credenze e intenzioni del parlante. Una prima idea dell’estensione dell’interazione fra abilità sociali e linguistiche nella comprensione del linguaggio è stata fornita dalle indagini teoriche e sperimentali su linguaggio figurato, atti linguistici e autismo. Da un lato, la letteratura sulla cognizione sociale è cresciuta in modo esponenziale negli ultimi vent’anni, focalizzata sia sugli aspetti cognitivi (teoria della mente) sia su quelli emotivi o affettivi (empatia, emozioni sociali). D’altro lato l’indagine sulla comunicazione linguistica ha una lunga tradizione. Con la definizione di comunicazione inferenziale, Grice ha fornito un nuovo modo di concepire gli scambi linguistici; dopo Grice, molti ricercatori hanno tentato di sviluppare le sue idee e di colmare il divario fra spiegazioni del linguaggio teoriche ed empiriche (Relevance Theory). E tuttavia il dialogo fra le due discipline è ancora agli inizi. Il nostro progetto ha lo scopo di far interagire attivamente indagine teorica e ricerca sperimentale su domande quali: Come interagiscono abilità linguistiche e di lettura della mente? Qual è il ruolo delle emozioni nella comunicazione linguistica? Fino a che punto l’ambiente sociale influenza le mosse comunicative? La ricerca sull’interazione fra linguaggio e cognizione sociale può gettare una luce inedita sui deficit comunicativi di DSA (disturbi dello spettro autistico), demenza frontotemporale e schizofrenia?

Epiteti denigratori e riappropriazione: un approccio sperimentale

Questo progetto si propone di costruire una teoria che renda conto degli usi riappropriativi degli epiteti denigratori, e di testarne la plausibilità sul piano empirico attraverso una serie di lavori sperimentali. Gli epiteti denigratori sono quelle espressioni (come “negro”, “frocio”, “terrone”) considerate offensive in quanto comunicano disprezzo, odio o derisione verso individui e categorie di individui (identificati di volta in volta sulla base di etnia, nazionalità, religione, genere, preferenza sessuale) in virtù della sola appartenenza a quella categoria. Gli usi riappropriativi sono quegli usi di epiteti denigratori da parte dei membri stessi del gruppo target, generalmente considerati come non offensivi ed anzi volti a demarcare il gruppo rispetto ai non membri, e a esprimere senso di appartenenza e solidarietà: ne sono esempio la riappropriazione del temine “nigger” da parte degli afroamericani, o quella dei termini “gay” e “queer” da parte della comunità omosessuale. Tali usi devono a nostro parere essere concepiti come usi ecoici, nel senso della teoria della pertinenza: gli appartenenti al gruppo target fanno eco agli usi offensivi e denigratori in situazioni che rendono evidente che tali usi non sono condivisi. In molti contesti l’effetto è ironico: si fa eco a pensieri o enunciati che il parlante attribuisce ad altri per dissociarsene o per prendersene gioco. In un uso riappropriativo di “nigger”, per esempio, chi parla farebbe tacitamente eco non tanto a un enunciato o a un pensiero attribuito ad altri, ma a una rappresentazione con un contenuto concettuale, a una sorta di norma culturale, morale o sociale secondo cui i neri sono individui meritevoli di disprezzo o derisione. L’atteggiamento espresso è un atteggiamento critico, di dissociazione, oppure di beffa e irrisione. Sul piano sperimentale proponiamo di testare la plausibilità psicologica/cognitiva della teoria ecoica degli usi riappropriativi. Sulla base di precedenti studi che avevano come oggetto altri fenomeni ecoici (come l’ironia), cercheremo di valutare l’impatto della struttura ecoica del discorso sulla comprensione degli epiteti denigratori. Inoltre, con l’aiuto di tecniche elettrofisiologiche (come l’EEG), investigheremo la differenza fra una prima risposta automatica agli epiteti riappropriativi (legata al loro statuto di parole “tabu”) e un più profondo effetto cognitive legato al carattere culturale e offensivo di tali espressioni.

Pubblicazioni: 

  • Bianchi C. (2014), “Slurs and appropriation: an echoic account”, submitted
  • Bianchi C. (2014), “Il lato oscuro delle parole: epiteti denigratori e riappropriazione”, submitted
  • Bianchi C., (2013), “Slurs: un’introduzione”, E/C, forthcoming

Linguaggio, giochi e decisioni

Il flusso di domande, risposte, affermazioni e sottointesi nel corso di qualunque interazione verbale è estremamente elevato; basta una pausa più lunga del normale una manciata di millisecondi perché il nostro interlocutore capisca che qualcosa non va (o, per lo meno, che quella pausa ha un significato preciso). Al fine di svolgere questo apparentemente banale quanto impressionante compito, i nostri sistemi cognitivi non possono basarsi solamente sulla meravigliosa macchina del linguaggio. Per comprendere un enunciato e agire di conseguenza dobbiamo essere anche in grado di, calcolare probabilità, prendere in considerazione la prospettiva di altre persone e cercare di anticipare eventuali rischi e benefici delle nostre future mosse comunicative. Per questo motive lo studio delle basi cognitive della comunicazione può trarre grande giovamento dalla collaborazione fra differenti discipline come la teoria dei giochi e lo studio delle capacità decisionali e la cognizione sociale. Questo progetto si propone di investigare l’integrazione di differenti processi cognitivi, e delle loro basi neurali, durante la comunicazione verbale.

Pubblicazioni:

 

 

 

 

 

 

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