Il Nobel che ci insegna a diffidare dell’istinto in economia, Il Sole 24 Ore, 29.3.2024.

16 Maggio 2024 Articoli

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È morto all’età di 90 anni Daniel Kahneman, psicologo israeliano e professore di scienze cognitive a Princeton, insignito del Nobel per l’economia nel 2002. Riconoscimento che consacrava le sue ricerche come uno dei più importanti sviluppi nelle scienze sociali dell’ultimo mezzo secolo. Kahneman era riuscito nell’impresa di rallegrare la ‘triste scienza’ trasformandola da mero esercizio matematico in autentica scienza comportamentale. Lo ha fatto mostrando su basi sperimentali come l’intuizione ci porti spesso fuori strada. La sistematicità di queste ‘deviazioni’ esige una spiegazione. E Kahneman la trovò nei meccanismi cognitivi che soggiacciono alle nostre decisioni. Poiché l’incertezza regna sovrana nella vita di tutti i giorni e specialmente in ambito economico – si pensi alle fluttuazioni della borsa o ai rischi che affrontano gli imprenditori quando investono in un nuovo prodotto -, capire il modo in cui le persone operano giudizi di tipo probabilistico è fondamentale per comprenderne le azioni. Kahneman ha rilevato che il giudizio umano diverge in modo prevedibile dalle leggi della probabilità. Ci affidiamo a ‘scorciatoie mentali’ (euristiche) che semplificano i nostri ‘calcoli’, ma che altresì ci conducono a commettere errori sistematici (bias). Crediamo, per esempio, in quella che Kahneman ha battezzato, non senza ironia, “legge dei piccoli numeri”: traiamo cioè conclusioni generali basate su campioni limitati o su poche osservazioni, senza considerare adeguatamente la variabilità naturale dei fenomeni o l’ampiezza del campione. Oppure sovrastimiamo le probabilità di eventi salienti o familiari, anche se rari, in funzione della facilità con cui questi sono ‘disponibili alla mente’; il che, spesso, dipende dalla loro diffusione sui media. Ancora, nello stimare le probabilità, diamo troppo peso alle prime informazioni, anche del tutto arbitrarie, che ci ancorano a un valore che poi aggiusteremo, distanziandocene però in modo insufficiente. Se si potesse far magicamente sparire un bias da questo mondo, Kahneman eliminerebbe l’ovcerconfidence: l’eccessiva fiducia nelle proprie abilità o competenze che non ha riscontro nella realtà e che porta spesso esperti e persone con ruoli di responsabilità a sottovalutare i rischi delle loro azioni. Il lavoro da ‘archeologo della cognizione’ è sempre stato per Kahneman “puro divertimento”. Come quando, insieme all’amico e collega Amos Tversky (con cui avrebbe certamente condiviso il Premio se Tversky non fosse mancato nel 1996), rifletteva su come “assemblare quel minimo insieme di modifiche” alla teoria economica. Con le sue parole: “Passavamo molte ore a inventarci coppie di scommesse e a osservare le nostre scelte intuitive. Se ci trovavamo d’accordo sulla stessa scelta, assumevamo provvisoriamente che tale decisione fosse riconducibile a una caratteristica del genere umano.” Da quel gusto per il continuo sperimentare e dal moltissimo acume delle loro ipotesi scaturirono i principi psicologici che, trasferiti nel contesto delle decisioni economiche, spiegano i limiti della nostra razionalità. Cruciale si rivelò la constatazione che, psicologicamente, la disutilità di una perdita x è maggiore dell’utilità di una vincita x di pari dimensione. Di conseguenza la nostra risposta alle perdite è più forte (un po’ più del doppio) della risposta ai guadagni. Le persone inoltre tendono a essere avverse al rischio quando guadagnano e propense al rischio quando perdono. Se anche voi vendete i titoli in guadagno del vostro portafoglio troppo presto, e tenete quelli in perdita troppo a lungo sapete di cosa si sta parlando. Un noto filosofo etichettò Kahneman come lo studioso della stupidità umana. In realtà, Kahneman ha illuminato i percorsi della nostra irrazionalità, scoprendone le cause e le ragioni in modo scientifico, sfidando così la teoria economica dell’uomo perfettamente razionale a innovarsi radicalmente. In una delle ultime interviste ha dichiarato che se dovesse iniziare la sua carriera ora, sceglierebbe “di dedicarsi all’intelligenza artificiale, perché è attualmente un modo particolarmente entusiasmante di indagare la natura umana”.

 

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