Un Nobel che rallegra la triste scienza – Il Sole 24 ORE
Matteo Motterlini
IlSole24Ore 14.10.2017
Non so se all’Accademia reale svedese delle scienze ci abbiano fatto caso, ma le motivazioni per cui Richard Thaler si è meri il premio suonano identiche a quelle per cui lo vinse Daniel Kahneman ormai quindici anni fa, ovvero per avere incorporato assunzioni psicologiche realistiche nell’analisi economica della decisione. Perché allora il premio oggi, e non nel 2002 insie Kahneman, quando Thaler aveva già contribuito con i suoi lavori più importanti alla nascita e all’affermarsi dell’economia comportamentale? Credo sia per lo straordinario successo di alcune applicazioni dell’economia dell’irrazionalità cui abbiam assistito di recente. Le cosiddette politiche pubbliche basate sull’evidenza ( evidence-based- policy) hanno dato ottima prova sé e sono quotidianamente sperimentate da diversi governi ai quattro angoli del globo. Oggi si stima siano 51 i Paesi che ha la loro Behavioral Insights Unit governativa, e molti altri quelli si avviano velocemente a istituirla, e sono 135 i Paesi (sui 198 riconosciuti dall’ONU) che hanno adottato iniziative politiche ispirate dalle scienze comportamentali (l’Italia nonostante un tentativo che mi ha visto coinvolto durante il governo Renzi, sotto la guida del sottosegretario Tommaso Nannicini, stenta a abbracciare questa nuova cultura del policy making).
Accertato che le persone commettono errori sistematici nel prendere decisioni, non possiamo pensare che ciò non abbia un impatto anche sulle politiche pubbliche che adottiamo. Se vogliamo progettare interventi che siano efficienti nel mondo rea occorre pertanto anticipare tali (prevedibili) deviazioni dalle scelte corrette (cioè razionali). In breve: un’economia umana pe politiche pubbliche a misura di cittadino. Infatti, il primo mantra di Thaler è: se volete che le persone facciano qualcosa (risparmiare per la pensione, pagare le tasse, inquinare di meno, mangiare più sano) rendetela semplice. Perché non sarà u burocrazia del ventesimo secolo a farci vincere le sfide del ventunesimo. Il secondo: non si possono fare politiche pubbliche basate sull’evidenza senza evidenza. Vale a dire senza adottare un approccio sperimentale per verificare, dati alla mano, cos funziona e cosa non funziona nel migliorare il benessere dei cittadini, dalla sanità all’istruzione, dalle politiche fiscali alla disoccupazione, ecc. Il risultato è un’attività di policy making (alla quale lo stesso Thaler si è prestato come consulente del governo di Cameron) di provata efficacia e non basata sulla convenienza di qualcuno. Un approccio che ha fortemente contribuito a diffondere una cultura della sperimentazione nelle scienze politico-sociali e in ambiti tradizionalmente domin dall’ideologia. L’applicazione delle scienze comportamentali è ormai destinata a far parte della cassetta degli attrezzi di ogn attività di governo, e l’assegnazione del Nobel a Thaler non fa che legittimare e auspicabilmente accelerare questo processo. Vero è che solo il fatto che l’approccio sia così efficace, non lo rende di per sé giusto. Quando si cambia qualcosa che impatt benessere di milioni di persone occorre condividere responsabilmente gli obbiettivi, e soprattutto essere trasparenti sul mo in cui li si vuole realizzare. Ma è giusto che un governo spenda soldi pubblici con interventi che tirano a indovinare? Possia permetterci di fare a meno delle scienze comportamentali per progettare politiche pubbliche più realistiche e dell’evidenza campo per selezionare quelle più proficue, soprattutto nei periodi di crisi in cui scarseggiano le risorse? Come ha twittato P Krugman (Nobel nel 2008), questo premio è la cosa migliore che sia accaduta alla scienza economica da molti anni: l’econo comportamentale rallegra la “triste scienza”; riportandola alla sua vocazione originaria di allocazione delle risorse scarse e stesso tempo la avvicina definitivamente alle altre scienze che davvero “funzionano”.